Il Mondo di oggi è percorso da tensioni profonde e da spinte contraddittorie, che hanno origine dal contrasto fra l’aspirazione dei popoli al miglioramento delle loro condizioni sociali ed economiche ed il crescere delle diseguaglianze fra le nazioni e all’interno di esse.
Il processo di internazionalizzazione delle economie, generalizzato e non governato, o meglio governato dagli interessi e non dalle istituzioni, concorre a una crescente concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi ed al contestuale impoverimento dei ceti medi e popolari, grazie ad un più rapido aumento del costo della vita rispetto alla dinamica dei redditi da lavoro dipendente, professionali e derivanti da attività autonome. Ciò emerge con evidenza anche da un’analisi approssimativa e superficiale dell’andamento delle economie dei paesi sviluppati; d’altra parte la crescita, sovente impetuosa, di una parte dei paesi in via di sviluppo avviene nel segno dello straordinario arricchimento di gruppi sociali minoritari e della sostanziale stagnazione nella miseria della maggior parte della popolazione, soggetta a regimi di sfruttamento, che spesso coinvolgono anche i bambini, anche più pesanti di quel che accadeva in anni non lontani.
Tale stato di cose deriva dall’incapacità delle forze sociali e politiche dei paesi economicamente sviluppati di fronteggiare la dura reazione del capitalismo contemporaneo alle politiche redistributive attuate dagli stati e propiziate dalle grandi lotte sociali negli anni settanta ed ottanta. La più equa distribuzione della ricchezza e l’estensione dei servizi sociali ottenute in quegli anni sono state progresssivamente riassorbite dal processo di sviluppo economico verificatosi nell’ultimo ventennio, tanto che una crescente maggioranza della popolazione vede continuamente ridursi il suo tenore di vita ed una parte non irrilevante di essa conosce difficoltà economiche che erano da molti ritenute un doloroso e irripetibile ricordo di tempi ormai remoti.
Siffatto stato di cose è più evidente in Europa che in altre parti del Mondo economicamente sviluppato e la crisi sociale è particolarmente acuta nei paesi europei che, come l’Italia, non si sono difesi adeguatamente dagli effetti negativi del processo di globalizzazione dell’economia ed hanno cavalcato con superficiale spregiudicatezza e senza l’adozione delle necessarie cautele le politiche di liberalizzazione e di privatizzazione, soprattutto nel settore dei servizi collettivi di generale utilizzazione.
La crisi degli stati nazionali europei
La storia delle civiltà umane vede un susseguirsi di processi di estensione territoriale degli stati, con la formazione di potenze che raggiungono dimensioni continentali e fasi di disgregazione che producono frammentazioni talvolta estreme dei centri di decisione e di comando. Dal tempo della polis greca a quello dell’Impero di Alessandro Magno, dagli stati ellenistici all’Impero Romano, dall’estrema frammentazione del periodo feudale e dell’economia curtense, al sorgere dei comuni, alla formazione delle signorie rinascimentali e degli stati nazionali moderni. I popoli che non hanno saputo adeguarsi alle evoluzioni del mondo loro contemporaneo e partecipare a pieno titolo al sistema di relazioni internazionali nel corso dei processi di concentrazione del potere ed estensione territoriale degli stati, sono caduti in genere sotto l’altrui dominazione. Tale è stata la vicissitudine dell’Italia dal XVI° al XIX° secolo, analoga sarà la sorte dei popoli europei se non sapranno celermente completare l’edificazione di un’Europa federale con un unico centro decisionale in materia di politica estera, economica e militare e per il coordinamento delle attività di giustizia, di formazione e di ricerca.
La scena del Mondo è oggi dominata dalla superpotenza statunitense; Cina, India e Russia si apprestano a divenire contraltari forti dell’egemonia americana, mentre l’Europa ed ancor più l’Africa e l’America centro – meridionale stentano a dar vita a processi unitari che possano generare stati in grado di garantire autorevolezza internazionale e tutela dei loro interessi essenziali. Tale scenario esige che i popoli europei prendano coscienza dell’esaurimento del ruolo e della funzione degli stati nazionali e promuovano la costituzione di un’entità federale forte e coesa.
La consapevolezza che l’internazionalizzazione dell’economia e l’affacciarsi sul proscenio della storia di grandi potenze continentali ha generato poteri di gran lunga più forti di quelli degli stati nazionali europei e che la perdita di ruolo di questi ultimi ne determina la decadenza sotto i più diversi profili, morale, culturale e politico, sino a metterne in discussione l’unitarietà e la democraticità delle istituzioni, si è fatta strada tra gli storici e gli studiosi di scienze sociali. Importanti sono, tra gli altri, gli studi su questi temi di Eric Hobsbawm. Il fatto che in Europa al raffinato ed evoluto modello sociale europeo si vada sostituendo il più rozzo ed approssimativo modello americano la dice lunga a questo proposito.
La crisi italiana
L’Itralia è uno dei paesi europei che meno hanno saputo difendersi dalla crisi che ha investito l’Europa negli anni novanta e dalla quale non si è sin qui riavuta.
La caduta del muro di Berlino ha fatto perdere al gruppo dirigente comunista il sistema di valori da cui derivava la sua capacità di elaborazione e di azione politica, lasciando gran parte della sinistra in preda ad una totale mancanza di punti di riferimento etici e facile preda delle seduzioni del modello americano (da molti anni suggerito con insistenza da Veltroni) con un evidente arretramento dal modello sociale europeo, tanto più evoluto, raffinato ed eticamente sostenibile del primo.
L’annientamento dei democristiani e dei socialisti ha privato il Paese della classe dirigente che ne aveva propiziato lo sviluppo dal dopoguerra sino a tutti gli anni ottanta. Il tracollo dei partiti di centro-sinistra, è stato causato dal dilagare della corruzione, ma anche da un tardivo e mal gestito intervento della magistratura, più interessata, con ogni evidenza, alla caduta del sistema di potere in essere che a debellare la corruzione. Quest’ultima si è addirittura incrementata, assumendo forme più raffinate e pervasive e costituisce una della cause principali delle difficoltà che ostacolano la ripresa economica del Paese.
Il crollo del sistema dei valori sia dei partiti di maggioranza che di opposizione ha generato una profonda crisi della capacità di governo a tutti i livelli della vita civile, se si escludono le esperienze di governi di breve durata affidati a presidenti del consiglio di particolare valore formatisi nelle precedenti fasi politiche, come Ciampi ed Amato, che hanno saputo evitare il tracollo dell’economia italiana e salvaguardare l’ancoraggio alle istituzioni ed all’economia europee e di un numero assai limitato di amministrazioni regionali e locali che hanno mantenuto un profilo alto dell’azione amministrativa. In genere, dunque, dal ’92 in poi l’Italia è stata governata da maggioranze parlamentari ed esecutivi del tutto impari rispetto alle esigenze di governabilità di un paese assieme moderno, complesso ed evoluto, ma investito da una crisi di valori e di prospettive senza precedenti nel dopoguerra.
La crisi sociale che ha investito la società italiana ha cause più profonde e vaste della crisi della politica e della rappresentanza: è una crisi di valori che ha coinvolto le strutture portanti dell’edificio sociale come la famiglia e la scuola. La famiglia ha sovente rinunciato al suo ruolo educativo, lasciando i giovani insicuri, abbandonati a se stessi, attratti da modelli frivoli e superficiali e preda di un diffuso ribellismo, frutto della mancanza di un sistema alto di valori sociali, di ideali in cui immedesimarsi, di prospettive individuali degne di essere perseguite. La scuola ha visto gravemente ridursi la sua capacità formativa, non è più in grado di motivare la gioventù ad un impegno severo di formazione culturale e professionale: i giovani rifiutano i necessari sacrifici ed i criteri selettivi indispensabili per generare nuove classi dirigenti di elevato livello e sono in questo sovente spalleggiati dalle famiglie, che hanno perso la capacità di valutare per quello che dovrebbero essere il loro stesso ruolo e quello della scuola.
L’atteggiamento della gioventù trae origine in gran parte dalla mancanza di prospettive: - sapere di essere destinati a lavori modesti, a retribuzioni inadeguate rispetto alle esigenze di una vita dignitosa, a forme di lavoro precario e mal pagato anche in quelle che dovrebbero essere le professioni più apprezzate, come ad esempio l’insegnamento e la ricerca, spinge i migliori all’emigrazione: il Paese viene così privato di importanti risorse culturali e professionali e dei benefici derivanti dall’ingegno di molti dei suoi ricercatori;
- dover constatare l’impossibilità di realizzare i sogni giovanili di costituire una famiglia, avere e crescere figli, progredire nella posizione professionale, provoca in un certo momento della vita una grave crisi d’identità e l’abbandono dei valori in cui si è sino ad allora creduto.
Molti giovani, così, trovano distrazione nel frastuono delle discoteche, quando non nelle tragiche seduzioni dell’alcool e delle droghe. Non sembra esservi dubbio che l’attenuazione della crisi sociale ed infine la sua soluzione risiedono anzitutto nella capacità di offrire occupazioni stabili e meglio retribuite ai giovani e di saper premiare il merito e l’impegno.
La crisi della società italiana è durata troppo a lungo per non aver inciso profondamente su tutti gli strati sociali a cominciare dalla classe dirigente: non vi è ambito che, esaminato con attenzione, non mostri i segni di una preoccupante decadenza: dalla classe politica alla burocrazia pubblica, dall’imprenditoria al management, dai ceti professionali a quelli dediti all’insegnamento e all’attività di giustizia , nessun ambito della società sfugge alle conseguenze di una perdita generale di punti di riferimento etici e di profonde convinzioni circa i diritti ed i doveri dei singoli e dei gruppi sociali. Richiamare tutti ad un soprassalto del senso della responsabilità costituisce un compito primario di una rinnovata rappresentanza politica che voglia essere in grado di propiziare la rinascita del nostro Paese.
I nuovi movimenti politici sorti dalla crisi della prima repubblica
Dopo il crollo dei partiti che hanno svolto le funzioni di rappresentanza e di governo dalla fine della seconda guerra mondiale al 1992, nuovi movimenti hanno occupato la ribalta della politica.
Privi di tradizioni e di solidi riferimenti internazionali, i partiti moderati di nuova formazione hanno fatto del qualunquismo e della demagogia le loro armi rudimentali ma efficaci, contribuendo non poco ad abbassare il livello del confronto politico e la qualità dell’azione di governo. La squallida polemica sulle tasse, posta in termini di banale egoismo dei gruppi sociali più fortunati nei confronti della parte sofferente della società, anziché, e ce ne sarebbe stato ben donde, quale critica al livello deficitario del rapporto tra prelievo e qualità e quantità dei servizi resi e delle opere realizzate, non ha, sorprendentemente, prodotto una significativa riduzione della pressione fiscale durante le gestioni berlusconiane del governo. Le promesse demagogiche fatte nelle campagne elettorali non hanno quasi per nulla influenzato l’azione di governo della destra, il cui bilancio in opere utili e durature e di avanzamento del Paese è stato pressochè nullo. Forza Italia si è caratterizzata come un movimento del tutto dipendente dal suo fondatore, senza alcuna vita democratica ne dialettica interna e con la sua attività ha avvalorato l’idea che la democrazia politica consista semplicemente nel chiamare periodicamente il popolo alle urne e non nella forza di elaborazione e di crescita che scaturiscono dal confronto tra opzioni diverse prima di tutto all’interno delle forze politiche e poi fra queste tra loro e nel confronto con le mille realtà culturali, associative e rappresentative che rendono vivace e incisiva la crescita democratica. Il partito moderato più forte è stato quindi un movimento modesto sotto il profilo culturale e asfittico sotto quello democratico, contribuendo così al prolungarsi ed all’approfondirsi della crisi sociale che deprime il Paese. Non molto diversamente si sono comportati gli altri partiti di destra e moderati. Più somiglianti ai partiti latino-americani del dopoguerra che alle grandi, dignitose ed apprezzate formazioni conservatrici mittel e nord europee, i partiti della destra si sono fondati su un esasperato leaderismo, anziché valorizzare il ruolo che in una democrazia moderna ed evoluta devono avere le sedi decisionali collegiali, sia nei partiti che nelle istituzioni. Tale loro degenerazione li ha portati a trasferire quello che con una felice espressione è stato definito il “culto della personalità” anche nelle istituzioni, approvando una riforma costituzionale che ridicolizzava i ruoli del Parlamento e del Presidente della Repubblica, esaltando invece quello del Capo del Governo, messo in condizione di sottrarsi di fatto al controllo parlamentare e determinare unilateralmente la durata stessa delle legislature. Per buona sorte del Paese la saggezza popolare ha fatto tabula rasa di tale sciagurato sfregio alla nostra attualissima ed elevata Carta costituzionale.
A partire dal ’92 l’area, si fa per dire, progressista è stata egemonizzata da formazioni di derivazione comunista che, come avrebbe detto Nenni, non hanno saputo fare i conti con la storia. Privati del sistema di valori in cui avevano creduto, o finto di credere, incapaci di riconoscere i loro errori ed i loro limiti, hanno dato vita a formazioni politiche prive della spinta ideale necessaria per mobilitare vasti settori della società e determinare importanti sviluppi riformatori, o si sono rifugiati in uno sterile estremismo, ripetendo i fasti del massimalismo socialista di altri tempi.
Le formazioni estremiste, Rifondazione comunista ed il Partito comunista d’Italia, non hanno saputo cogliere l’insegnamento delle esperienze che hanno segnato tutto il secolo ventesimo e che si possono riassumere nell’affermazione che gli esiti della contesa sociale si giocano sulla capacità delle due parti in competizione, sia sul piano della politica che su quello degli interessi economici, di realizzare l’alleanza con i ceti medi, promuovendo gli interessi dei ceti popolari in forme e con modalità compatibili con gli interessi dei ceti medi stessi. Si tratta di un’operazione facilitata dalla circostanza che il capitalismo contemporaneo produce con la sua attività forme di concentrazione della ricchezza che vanno a detrimento di tutte le altre parti della società.
I gruppi più moderati della diaspora comunista, per un mal posto orgoglio e per ignavia non hanno saputo o voluto condurre un’analisi critica delle esperienze storiche del comunismo e della socialdemocrazia, che li avrebbero condotti ad accertare la giustezza di quest’ultima e ad inserirsi senza equivoci e tentennamenti nella tradizione riformista, ma hanno preferito dar vita a formazioni di incerta identità, prive di contenuti ideali e, come loro stessi solevano dire, di spinta propulsiva. Una vicenda deludente che non poteva concludersi peggio che con la costituzione del Partito democratico, un movimento confuso, composito e contradditorio, dove le diverse componenti si annullano vicendevolmente, consentendo soltanto scelte di basso profilo e sostanzialmente immobiliste. Le divaricazioni, sia in tema di difesa della laicità dello Stato (accentuate dal recente accordo elettorale con i radicali), sia in tema di politica economica, fanno presagire una conduzione tormentata come quella recente dell’alleanza di centro sinistra.
Ai governi della destra si sono alternati nel corso del decennio trascorso governi di centro-sinisttra, che se possono vantare dei meriti in materia di contenimento del deficit e del debito pubblico e di ancoraggio dell’Italia al sistema europeo, hanno sposato le tesi liberiste della destra, dando luogo affrettatamente e con criteri di svendita a privatizzazioni di servizi pubblici essenziali, con danno rilevante per l’interesse nazionale e della generalità dei consumatori. La vicinanza politica dei beneficiari di tali privatizzazioni con settori dei DS e della Margherita sono, probabilmente, la più corretta chiave di lettura delle ragioni delle condizioni di grande favore con cui sono stati acquisite dai privati le grandi imprese del settore energetico e delle comunicazioni. Pur contando su crescenti entrate finanziarie i governi Prodi poco o nulla hanno fatto per migliorare la ricerca scientifica e tecnologica, la capacità formativa della scuola e l’aumento dell’efficienza e della produttività sia nel settore privato, che in quello pubblico di specifica competenza del governo. L’Italia ha perso in tal modo altro tempo prezioso, segnando il passo o addirittura perdendo posizioni nella competizione globale.
Il Partito Socialista e le sfide del nostro tempo
L’Italia contemporanea vive in modo più acuto degli altri paesi europei la crisi sociale ed economica che abbiamo descritto, per l’arrendevolezza della classe politica nei confronti della dura offensiva clericale nei confronti delle libertà civili e per l’acquiescenza nei riguardi degli interessi del potere economico dominante.
La difesa della laicità dello Stato comporta la disponibilità dei socialisti ad un confronto privo di asprezze e rispettoso dei punti di vista dei concittadini appartenenti alle diverse confessioni religiose, ma fermo nel respingere la pretesa che i non appartenenti alla religione cattolica siano tenuti a comportamenti che non hanno nessuna giustificazione salvo quella di rispettare le convinzioni e le credenze dei cittadini cattolici, quando non addirittura i dictat della gerarchia in materie nelle quali essa mostra posizioni più arretrate e integraliste rispetto al comportamento abituale dei cattolici più liberali, come in materia di separazioni e divorzi, di riconoscimento delle unioni di fatto, di ricorso all’aborto ed in materia di libertà della ricerca scientifica.
L’aggressione indiscriminata sviluppata dal potere economico nei confronti delle conquiste sociali culminate con la costruzione dello stato sociale moderno, impone ai socialisti la più ferma opposizione alle istanze che, sotto i nomi accattivanti di liberalizzazioni, privatizzazioni e flessibilità vogliono privare i cittadini consumatori di qualsiasi difesa in materia di prezzi e di tariffe ed i cittadini lavoratori di tutela in materia di adeguamento delle retribuzioni e di stabilità del posto di lavoro. Le disuguaglianze sociali oggi esistenti nella nostra società sono ingiustificatamente ampie, così come lo è la disparità delle retribuzioni fra le attività più umili e quelle più qualificate. E’ ben vero che la concorrenza di paesi in cui il costo del lavoro à incomparabilmente più basso che da noi pone seri problemi di competitività alle nostre imprese, ma tale scenario non può giustificare la totale assenza di misure protettive delle autorità nazionali ed europee rispetto a prodotti provenienti da paesi nei quali il lavoro, anche quello minorile, non gode di alcuna protezione e garanzia. E’ giusto operare per un crescente collaborazione tra i paesi ed i popoli ed una progressiva riduzione delle barriere protezionistiche, ma occorre evitare che modalità eccessivamente rapide ed incontrollate di tale evoluzione costituisca una delle modalità per sostenere il processo in atto di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e di riduzione del benessere o accentuazione della povertà tra i ceti medi e quelli popolari.
Sappiamo bene che l’aumentata mutevolezza delle condizioni di mercato può generare la necessità di rapporti di lavoro limitati nel tempo, ma in tali casi gli oneri contributivi a carico delle aziende devono essere, in qualche misura, incrementati e non grandemente ridotti, cosicché a tali contratti atipici le imprese facciano ricorso solo in caso di effettiva necessità. Si porrà in tal modo almeno parziale riparo al rischio concreto che in futuro le pensioni erogate siano molto più ridotte di quanto avviene oggi rispetto ai salari dei lavoratori attivi. I socialisti si battono con forza per riformare le leggi che hanno introdotto forme di precarizzazione del lavoro che non solo limitano le retribuzioni e negano prospettive a vasta parte della gioventù lavoratrice, causa fra le principali del disagio sociale e della degenerazione dei costumi in atto nella nostra società. E’ del resto sotto gli pcchi di tutti che la natura stessa delle forme di lavoro precario consentite dalla legislazione vigente, in uno con la distrazione delle autorità di controllo rispetto alle sistematiche violazioni che enti pubblici e privati fanno di tali norme già di per sé eccessivamente permissive, mettono molti giovani alla mercè dei più spregiudicati imprenditori, compromettendone la dignità e le libertà personali.
L’esperienza storica ha dimostrato che un mercato ben regolato e la concorrenza assicurano la fornitura di beni e di servizi alle migliori condizioni del rapporto prezzo/qualità, ma ciò si verifica allorquando di un bene o servizio sussistano molteplici offerte e nuove se ne possano sempre aggiungere a quelle esistenti. Per quel che attiene ai servizi relativamente ai quali non sia proponibile in via teorica o di fatto la pluralità delle offerte, non vi sono alternative accettabili alla gestione pubblica, pena la decadenza delle strutture e dei servizi ed ingiustificati incrementi delle tariffe, comre dimostrano le esperienze interne ed internazionali. Devono essere salutate favorevolmente le alienazioni di beni e servizi impropriamente gestiti dal sistema pubblico perché comunemente offerti sul mercato, ma deve essere giudicata in tutta la sua negatività la cessione ai privati di servizi pubblici da esercitare necessariamente in regime di monopolio, quali le reti di trasporto, i sistemi riguardanti il ciclo dell’acqua e dei rifiuti, le imprese locali che integrano la gestione dei rifiuti con la produzione di energia e di calore e, per ragioni strategiche concernenti il rifornimento nazionali, le grandi imprese che gestiscono gli approvvigionamenti di energia,.
Lo stato sociale moderno
I socialisti italiani confermano la loro determinazione a difendere le conquiste delle grandi lotte condotte nel secolo ventesimo in Europa ed in Italia, alle quali hanno contribuito oltre al movimento socialista i settori più moderni e avanzati del movimento liberale e di quello sociale cristiano. In particolare, la realizzazione nel nostro continente dello stato sociale moderno, che ha costituito il punto più alto raggiunto nel corso della storia dalle civiltà dell’uomo. Tutela della libertà personale, servizio sanitario nazionale, trattamento pensionistico dignitoso, parità di diritti fra uomo e donna, tutela della maternità e dell’infanzia, abbandono del colonialismo, politica estera di pace e dialogo con tutte le culture e le civiltà sono stati i punti di approdo di una grande stagione di progresso civile, di sviluppo economico e di coesistenza pacifica.
L’aggressione concentrica alla politica delle grandi socialdemocrazie e dei partiti laburisti europei condotta dai comunisti da sinistra e dalle formazioni conservatrici da destra hanno indotto sia i sindacati dei lavoratori che i governi ad eccedere nella cadenza e nell’intensità delle concessioni sociali, determinando situazioni critiche sia per la competitività delle economie europee sia per la stabilità dei pubblici bilanci. Compito dei socialisti europei è la strenua difesa delle conquiste raggiunte e la ripresa del cammino verso una società più giusta ed equilibrata secondo il metodo del gradualismo riformista, che consiste nell’avanzare con studiata gradualità ma di rendere permanenti i traguardi conseguiti. Una rinnovata fase di sviluppo dovrà tenere in gran conto la compatibilità ambientale delle misure di sostegno alla crescita, onde fugare i timori di un progressivo tracollo ecologico del Pianeta.
Lo stato sociale moderno presuppone un modello di sviluppo economico equilibrato, che faccia maggiormente perno sulla giustizia distributiva e sulla gradualità e stabilità della crescita che sulla sua intensità e sulla competizione. E’ del tutto evidente che un siffatto modello di sviluppo , che si pone come alternativa a quello americano, assai più rudimentale e tutto votato alla competitività, scontando costi sociali elevatissimi, può essere sostenuto solo a livello continentale e presuppone un più alto grado di integrazione delle politiche internazionale, economica, della formazione e della ricerca di quanto conseguito sino ad oggi. La difesa e lo sviluppo dello stato sociale moderno presuppongono, quindi, una azione decisa per l’ulteriore integrazione del continente, o di quelli fra i paesi europei che sono consapevoli dell’ineluttabilità, a pena di una grave decadenza, di una loro piena unificazione.
Politica estera
I socialisti italiani confermano la loro fedeltà all’alleanza occidentale ed ai trattati internazionali sottoscritti dal nostro Paese e ribadiscono che i due principali pilastri della politica estera italiana devono consistere nella solidarietà con i nostri partner europei in tutti i frangenti della vicenda internazionale e nella centralità non eludibile delle decisioni dell’ONU per la soluzione delle controversie internazionali. Il Partito Socialista conferma la sua piena adesione e fedeltà a quanto prescritto dalla Costituzione, laddove afferma che “l’Italia ripudia la guerra come strumento per la soluzione delle controversie internazionali”. In tale spirito l’Italia deve intrattenere rapporti amichevoli e ricercare forme di collaborazione in campo culturale, economico e politico con tutti i paesi che ne condividono i propositi di coesistenza internazionale e salvaguardano i fondamentali diritti di libertà dei loro popoli.
Cultura, formazione e ricerca
Le frequenti nuove scoperte scientifiche e la veloce evoluzione tecnologica rendono indispensabile la più vasta ed incisiva diffusione della cultura e quindi un potenziamento del sistema scolastico pubblico. Ciò presuppone di migliorare significativamente i sistemi di preparazione e selezione, nonchè la retribuzione del personale docente. Il potenziamento della innovazione e della ricerca, che costituiscono uno degli aspetti gravemente deficitari della situazione italiana, è del pari indispensabile per rilanciare la competitività del sistema italiano rispetto a quelli degli altri paesi. Ma ciò che è di decisiva importanza à che nel nostro Paese si faccia strada la convinzione che la complessità della evoluzione dei sistemi produttivi contemporanei non consente la trasmissione di un sapere datato agli anni di formazione degli insegnanti, né che la scuola si regga solo sugli stanziamenti del pubblico bilancio, ma postula una sistematica integrazione fra produzione, ricerca e formazione, sfruttando le sinergie che tale integrazione può consentire. Non sembri un concetto peregrino. Tale stato di cose è in vario modo realizzato nei paesi economicamente all’avanguardia ed esempi di tal genere, con esiti positivi, erano presenti anche in Italia prima che la ventata di demagogia livellatrice post sessantottina li spazzasse via. Si tratta di un traguardo difficile, da conseguire con procedure complesse e che si può perseguire con sperimentazioni inizialmente limitate, ma portate avanti con determinazione ed adeguatamente sorrette.
La vita di partito
Un partito socialista grande ed autorevole non nasce sulla base di petizioni di principio o per le scelte perspique del suo gruppo dirigente, ma se riesce a coagulare intorno a sé un numero sempre maggiore di aderenti, di militanti e di attivisti. Ciò comporta l’assiduo e concreto coinvolgimento della base del partito nelle scelte, che devono scaturire da un vasto e approfondito dibattito precedente alle decisioni, diversamente da quanto è accaduto sin qui. L’eccessiva personalizzazione della politica, la mancata consultazione preventiva degli organi collegiali a tutti i livelli, l’infrequente convocazione delle assemblee sezionali e la mancanza di un’attività permanente delle sezioni costituiscono altrettanti ostacoli alla crescita del Partito e ne pregiudicano l’affermazione.
Nei movimenti socialisti democratici e laburisti convivono persone che, a partire da valori e principi condivisi, hanno un ventaglio di opinioni considerevolmente vario e vasto: questa è la condizione della loro dimensione e rilevanza sociale e politica. Il nostro Partito Socialista occupa solo parte di quello che fu un tempo l’insediamento sociale del PSI. E’ compito dei gruppi dirigenti creare le condizioni, in termini di ampiezza della piattaforma politica, di agibilità e rispetto di posizioni dissenzienti con quelle prevalenti, di possibilità di espressione congressuale e di rappresentanza negli organi dirigenti delle posizioni minoritarie. Senza una consapevole e perseverante iniziativa nel senso indicato è scontato che il Partito Socialista continuerà ad essere una formazione quantitativamente molto modesta e politicamente e socialmente scarsamente rilevante.
Le migrazioni umane
Il lavoro
La giustizia in Italia: problemi e proposte
Problemi del nord e del sud
La questione femminile
Il Partito Socialista il PSE e l’Internazionale socialista
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